Questa raccolta mi ha sorpreso. Saranno pochi, ma di poeti ne nascono ancora. Tre o quattro ogni cento anni, secondo Alberto Moravia. Nella vita vissuta sono più numerosi di quanto non si pensi. Coincidenti con le loro biografie, prima ancora che con i loro versi. Sarebbe stantio disturbare Giovanni Pascoli. Basta dire, invece, che molto spesso “la vita non basta”. Spesso una vita non basta. Ci viene in soccorso la potenza generativa della parola. Dentro il suo ventre noi (ri) nasciamo. Ma dobbiamo (ri) prenderlo con un lavoro di scavo spietato e senza sconti. Lo riconosce ancora lo stesso autore. “Sono sprofondato, letteralmente. È stata una subsidenza della mia anima, delle mie membra”. Insomma, la scrittura di Berardi è una discesa dagli strati iperborei giù fino al punto pelvico dell’esistenza; un movimento perfettamente fungibile, per doppio contrappunto, con l’altra possibilità di una risalita, o ascesa dai fondali più indicibili fino alle più chiare visioni dell’orizzonte umano. Di quando/ in quando mi salivano/ mute richieste alla coscienza/ che mi lasciavano sabbioso/ come gusci d’automobili se/ dal deserto piove polvere. /Ora ho smesso di domandarmi/ ora posso dire con certezza/ che la buca di terra e di senso/ brigando scavata e faticando/ basta appena a seppellire/ il resto del vuoto che vivendo/ non ho ancora colmato. Sul piano della prosodia, questa poesia seduce, più che per il verso o la metrica, per la precisione semantica della parola, perfettamente inserita in una sapienziale scansione dei tempi, dei toni e anche dello spazio di scrittura. Questo uso pitagorico della parola, se posso azzardarmi, conferma, esaltandola, la capacità della lingua poetica di proporsi come il più efficace strumento di lettura della nostra ormai formattata realtà quotidiana; il più ricco e fecondo giacimento di mondi vissuti al quale attingere nuovi codici di azione e di vita. (Dalla prefazione di Pasquale Vitagliano)
Una traccia
Non che non più esista
Non esisti più in me
nell’attuale costrutto
assenza incombente
inumana presenza.
E così
non posso estrarti da me
non invocarti solo evocarti
provare ad astrarti
decifrando lingue
penetrando cripte
del residuo celato
carezzando l’idea del disvelato
sussistenza del significato
non ripiegato ma dispiegato
rastrellando tutti i possibili rimandi
in cerca di una traccia
di un segno (un disegno?)
di Te
di Te ora
o del Tuo solo
remotissimo passaggio
del lancio della Tua rete
del tuo ammaraggio
– o se davvero siamo noi tutti
lo sterminato campione che testi
del Tuo misterioso sondaggio.
Gianpiero Berardi è nato a Ivrea nel 1975. Vive a Terlizzi (Bari) fin dalla prima infanzia ed esercita la professione di medico radiologo dal 2007. Si è cimentato con la poesia fin dell’adolescenza. Questa è la sua prima pubblicazione.
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